Capitolo 14  Sacrificio e Perseveranza

SERVI DIO CON LE TUE DOTI

C’è sempre qualcosa in ognuno di noi che è speciale, o che ci contraddistingue. Per esempio, alcuni sono intelligenti, altri non lo sono, alcuni sono forti, alcuni sono deboli, alcuni sono colti e alcuni ignoranti, alcuni sono ricchi, e alcuni poveri.

Ognuno dovrebbe cercare di compiacere Dio, servire Dio o venerare Dio, a seconda del caso, con l’attributo in cui eccelle principalmente. Questo è il percorso che incontra meno resistenza. E funziona di sicuro, perché ha sempre funzionato in passato.

Sudama era il più povero dei poveri. Venerava Krishna offrendo soltanto riso avariato, e anche quello gli veniva prestato tanto era povero. Ma questa venerazione funzionò e Sudama ottenne in cambio grande prosperità.

Piccole cose possono avere grandi conseguenze. Infatti, tutte le grandi cose iniziano da qualcosa di piccolo.

Un piccolo seme di acacia (una pianta spinosa che si trova in India) produrrà una grande pianta spinosa, questa seguiterà col produrne innumerevoli altre fino a riempire tutto lo spazio cosicché nessuno potra’ muoversi tra di esse senza farsi male.

Similmente, una piccola azione sbagliata può produrre grandi danni e una piccola buona azione semplicemente il contrario.

Kubja, una donna gobba che visse nell’epoca di Krishna, venerava Krishna offrendo soltanto piccole quantità di pasta di sandalo, ma lo faceva con assoluta sincerità. Tutti i suoi guai sparirono, e anche la gobba svani’. Diventò una donna bellissima. Piccolo fu il suo gesto, ma grande la sua sincerità, pertanto il miracolo accadde. Similmente, molte storie nei testi sacri illustrano come anche il più svantaggiato può raggiungere grandi altezze.

Il metodo consiste nel fare ciò per cui ognuno è destinato, e farlo con spirito di devozione verso Dio. Fa che mangiare, bere, dormire, lavarti, ecc., sia tutto dedicato a Dio. Questo è il metodo corretto di venerazione e la giusta devozione.

Shabari, una donna non istruita che visse nel tempo del Ramayana, professò per cento anni in piena fede che la personificazione di Dio sarebbe giunta un giorno in visita presso la sua capanna nella giungla, e questo di fatto accadde. Rama andò alla sua capanna durante il suo esilio. Pur essendo analfabeta, la sua devozione era di un ordine maggiore persino di quella dei mahatma. Perciò Rama andò in visita alla sua capanna piuttosto che alla loro.

Un forte e profondo affetto per nostro figlio, o nostro padre o nostra moglie, vive nei nostri cuori, tuttavia andiamo avanti con le nostre consuete attività e non sempre pronunciamo i loro nomi. Questo è esattamente il modo in cui dovremmo tenere Dio nei nostri cuori continuando allo stesso tempo a svolgere i nostri compiti.

Svolgi il tuo normale compito al servizio di Dio e nella fede in Dio. Puoi raggiungere Dio facendolo. Ma se tu credi che i tuoi compiti non vadano bene e ti assumi i compiti degli altri perché ti piacciono di più, potresti perdere la via e rovinarti. Perciò, fare il tuo dovere e dedicarlo a Dio è la regola d’oro per la felicità e la pace.

RAMA E SITA

Lo Shankaracharya ha parlato di perseveranza. È questo che fornisce quel filo di memoria e mantiene una piccola luce nell’oscurità durante l’arco della giornata?

C’è un verso in una delle sacre scritture. Il suo significato è che un brav’uomo che vuole intraprendere la via spirituale dice ciò che sente, e fa ciò che dice. Ciò vuol dire, che si esprime attraverso un sentimento puro. Quando ha sentimenti impuri, prova a non parlare, evita di agire frettolosamente o di esprimere i suoi sentimenti. Un uomo malvagio fa l’opposto: sente una cosa e ne dice un’altra; dice una cosa ma ne fa un’altra.

Se uno realmente dice ciò che sente, e fa esattamente ciò che dice, sviluppa la propria forza interiore; il risultato di tale chiarezza e integrità della mente e sincerità del cuore, comprendera’ facilmente quale e’ la via giusta da percorrere.

Questo è un esempio tratto dalla vita di Rama quando questi andò a Janak-Puri. Stava facendo un giro ai giardini reali quando casualmente vide Sita. C’era con lui soltanto Lakshman, cosi disse a Lakshman: “Perché mi è capitato di posare lo sguardo su questa ragazza in questo giardino? La tradizione della nostra grande famiglia Raghu vuole che nessun uomo della famiglia posi mai lo sguardo su una donna a meno che egli sia destinato a sposarla. Sembrerebbe perciò che questa ragazza sarà mia sposa.”

Questo è il tipo di purezza che uno ottiene soltanto quando segue sentimenti puri e li esprime in parole sincere e fa esattamente ciò che dice. Se uno imparasse questo e mantenesse tale coerenza, crescerebbe; diventerebbe più serio e acquisirebbe maggior forza di carattere. Ciò porta unità all’interno di un uomo e crea una sorta di profondità, e in tale unità e profondità dell’individuo discende la gloria dell’Assoluto, che uno infine manifesta a trecentosessanta gradi tutto quel che sa sulle glorie dell’Assoluto.

 

Quanto hai detto significa un certo ordine d’azione? Hai menzionato due volte: “Iniziare con sentimento, e poi dire ciò che senti e fare ciò che dici.” Quest’ordine è importante per questo proposito?

 

Non solo è importante ma necessario, in quanto questo è l’avvenimento supremo – appartiene al disegno della natura. Questo è come le cose accadono, ma per via dell’ignoranza noi non seguiamo questa sequenza e creiamo a noi stessi delle complicazioni. L’uomo ordinario non va secondo questa sequenza. Quanti vogliono seguire la via dovrebbero seguire questa sequenza.

 

L’ELEFANTE E IL COCCODRILLO

Nel tentativo di dedicare le proprie azioni all’Assoluto, uno scopre l’esistenza di molta meschinità nei propri pensieri, parole, occasionali posizioni e azioni che non è possibile dedicare al Se’ Supremo. Se uno vuole fare ciò che dice e dire ciò che pensa, è come un lavoro a tempo pieno!

Nel dedicarsi all’Assoluto o al Se’, la parte più importante è il cuore, e questo è molto semplice. Se ciò è propriamente conseguito nella sua semplicità, tutto il resto non dovrebbe preoccupare, perché nulla è più importante. Ciò si può vedere da molti esempi. Eccone uno:

C’era un grande elefante che era molto orgoglioso delle sue dimensioni e della sua forza, ma quando andò a fare il bagno fu preso da un coccodrillo e trascinato dal punto in cui si trovava fino a dove l’acqua era profonda. Era impotente e non poteva far nulla, ma quando era quasi sul punto di annegare gli capitò di afferrare con la sua proboscide un fiore di loto che galleggiava sul fiume, e offrendo quel fiore all’Assoluto, al suo Dio, lo pregò di salvargli la vita. Così pura fu l’offerta, che Dio accorse, correndo scalzo dal Suo trono.

Uno può chiedersi com’è possibile smuovere l’Assoluto e far sì che Egli arrivi scalzo dal Suo trono semplicemente con un piccolo fiore! Ma non è stato il fiore, è stato lo spirito del dono, è stato il cuore che ha pregato.

C’è un’altra storia di un santo di nome Rantideva, che portò solo un po' d’acqua, e offrì questa piccola quantità d’acqua e, così facendo, ottenne la liberazione – soltanto un recipiente d’acqua in cambio della piena realizzazione!

La stessa cosa uno può osservarla nella vita ordinaria. Un padre fa tutto ciò che può per suo figlio, e mentre seduto in grembo al padre viene imboccato, il bimbo magari prende un po' di cibo e cerca di metterlo in bocca al padre. Ora, quel pochino di cibo che il bambino gli mette in bocca fa talmente piacere al padre da mandarlo in estasi; tutte le preoccupazioni che avere un figlio comporta sono dimenticate.

 

L’INFANZIA DI LAKSHMAN

Quando Lakshman, il fratello più giovane di Rama era bambino, aveva un bel caratterino e un giorno si arrabbiò molto. Prese un bastone e ruppe tutti i candelabri del posto, e tutto ciò che era di vetro, e fece molti danni. Il ministro fece rapporto al re, suo padre, dicendo che proprio ora avevano visto quel ragazzo cattivo, Lakshman, che furioso faceva tutti quei danni. Il re disse loro di chiamare i sacerdoti per celebrare l’occasione aprire le porte della tesoreria, distribuire elemosina e, aggiunse: “Che ci siano anche musica e canti”.

L’attonito ministro disse: “Spero di aver espresso chiaramente ciò che Lakshman ha fatto.” Pensava che il re stesse scherzando! Ma il re disse: “Bè, è bello vedere che il mio figlio piccolo sta crescendo e che ha acquisito abbastanza forza da fare tutte queste cose. Perciò non pensi che questo sia un motivo per gioire e che dovremmo gioire insieme?’

Quindi dobbiamo capire che l’Assoluto non è in realtà interessato ai dettagli del cattivo comportamento dell’uomo durante il periodo di crescita! L’Assoluto o il Se’ Universale vuole il cuore umano nella sua semplicità e franchezza. Quando ciò gli sarà stato dedicato, tutto seguirà nel corso del tempo, e uno non deve preoccuparsi se le azioni degli uomini sono piccole o grandi, buone o cattive, efficienti o inefficienti. Ciò non conta – la reale dedizione che Egli richiede è soltanto quella del cuore.

 

IL RAGAZZO CHE SCRISSE ALL’ASSOLUTO

Sarebbe un pratico piano d’azione offrire ogni azione all’Assoluto, cioè tenere in mente il Se’ Universale allo stesso modo in cui un marito tiene in mente sua moglie?

Trarremmo molti benefici dal fare quello per cui siamo destinati offrendolo al Se’ Universale! È come quando un figlio consegna tutto quel che guadagna a suo padre; il padre decide poi quali sono i bisogni di suo figlio e li soddisfa molto volentieri. Lo stesso è con il Se’ Universale. Ecco un episodio tratto dalla vita reale:

C’era un ragazzo che aveva perso entrambi i genitori. Era molto povero e desiderava andare a scuola per studiare. Per fare ciò aveva bisogno di soldi per le rette scolastiche e la cancelleria ma non aveva soldi per affrontare queste spese. Tutto ciò gli causava considerevoli preoccupazioni. Per caso conobbe un mahatma e gli espresse le sue difficoltà. Il mahatma gli diede alcuni consigli. Gli disse di scrivere una lettera all’Assoluto. “Scrivi la lettera in questo modo: Oh Padre mio, l’Assoluto, per favore aiutami, sono molto povero, i miei genitori sono morti, non ho soldi per pagare le mie rette scolastiche, per comprare libri, o continuare i miei studi.”

“Come dovrò spedirla?” domandò il ragazzo.

“Indirizzala all’Assoluto”, gli disse il mahatma.

Fece ciò che gli fu detto, scrisse la lettera indirizzandola semplicemente all’Assoluto. Poi la mise nella buca delle lettere. La buca delle lettere fu svuotata e la lettera portata all’ufficio postale per essere smistata. L’addetto chiese: “Dove sarebbe questo posto in cui vive l’Assoluto?” Così portarono la lettera al capoufficio il quale chiese loro di portargli il bambino. Il bambino fu portato al capoufficio, che lo adottò e si fece carico di tutte le sue spese. Il ragazzo ebbe la più alta istruzione e diventò giudice. Il giudice stesso mi ha raccontato questa storia.

In modo analogo, se noi offriamo e dedichiamo tutte le nostre azioni all’Assoluto, in quel caso Egli soddisfa i nostri bisogni e i bisogni di quanti sono connessi a noi.

Offrire le nostre azioni all’Assoluto non vuol dire che dopo aver guadagnato lo stipendio lo doniamo tutto all’Assoluto. Significa soltanto offrire il nostro stipendio mentalmente all’ Assoluto. Il denaro è tuo e usarlo dopo averlo offerto all’Assoluto lo farebbe diventare un dono dell’Assoluto. L’atteggiamento da adottare dovrebbe essere: avendo imparato che dobbiamo considerarlo proprietà dell’Assoluto, usiamolo come un Suo dono, non come nostro.

Prendiamo la famiglia allargata in India. L’usanza della famiglia allargata era universale ai vecchi tempi ma oggi questa tradizione sta scomparendo. L’idea era che ogni membro della famiglia metteva a disposizione di tutta la famiglia tutto ciò che possedeva e il capofamiglia si occupava dei suoi bisogni. Se c’era qualcuno impossibilitato a guadagnare e quindi a contribuire, nessuno se ne preoccupava e questi comunque riceveva ciò di cui aveva bisogno. Lo stesso vale nell’offrire le nostre azioni all’Assoluto. Se gli dedichiamo le nostre azioni Egli allora si farà carico delle nostre necessità terrene.