Capitolo 15 Rinunciare e lasciare andare

PRAJAPATI E SUO FIGLIO KACH

È possibile nella notte rimanere quieti a lungo, ma la sensazione dell’’Io’ resta lì nella quiete.

Quando uno sa di essere nella quiete non è nella quiete, e quando uno sa di stare in pace, non l’ha raggiunta perché la grande barriera resta, quel riconoscimento dell’’Io’ e la sua relazione con pace e quiete. In completa pace e quiete non c’è ‘Io’!

Prajapati era l’insegnante e il sacerdote degli dei. Suo figlio, Kach, avendo ricevuto un’istruzione formale sui testi Vedici e Upanishad, e avendo acquisito le conoscenze che doveva acquisire, tornò da suo padre. Suo padre gli chiese cosa intendesse fare. Kach disse: “L’essenza di tutto ciò che ho imparato è che la rinuncia è la migliore scelta nella vita, perciò vorrei percorrere la via della rinuncia.” Ma non avrebbe intrapreso le attività sacerdotali, e non avrebbe neanche dato una mano con le attività domestiche; sarebbe solo rimasto in casa.

Dopo un po' di tempo, suo padre gli chiese se aveva veramente rinunciato a tutto. Per quanto poteva vedere il padre, suo figlio aveva rinunciato completamente al lavoro, ma continuava a vivere, a mangiare e a usare i servizi della casa. “E allora?” disse il figlio, “Va bene, rinuncerò alla casa,” così lasciò la casa e andò nella giungla e stette lì.

Poi, dopo un altro intervallo di tempo, suo padre gli fece visita lì e gli chiese quale fosse la situazione. Il ragazzo disse: “Non posso dire di aver raggiunto la pace completa, perciò sembra che non abbia ancora rinunciato a tutto.” Il padre disse: “Sì certo, così sembra – la tua rinuncia non è completa, altrimenti la pace scenderebbe su di te.” Così Kach rinunciò ai vestiti che indossava, al cibo che mangiava, e a tutte le attività, tuttavia non raggiungeva una reale pace interiore.

“Ora,” disse “l’unica rinuncia che rimane è il mio corpo, quindi devo rinunciare al corpo,” e preparò una pira funeraria con l’intenzione di saltarci dentro. Suo padre improvvisamente apparve e gli chiese se era sicuro che questa sarebbe stata la rinuncia finale. Il figlio domandò: “Ma una volta che ho rinunciato al corpo, cosa rimarrà ancora a legarmi alle cose terrene?”

Suo padre rispose: “Il tuo corpo sottile non morirà con il tuo corpo fisico, e le attività del corpo sottile (che ha desideri) faranno sì che continuerà a vagare, e non si placheranno una volta che il corpo sarà bruciato. Tu prenderai un altro corpo dopo la morte, perché ci sarà qualche desiderio nel tuo corpo sottile, quindi bruciare il corpo non è la risposta finale – tu non ti libererai di questa esistenza.”

Così il figlio disse: “Bè, cosa devo fare se non riesco a giungere alla rinuncia, cos’altro dovrei fare?”

Il padre allora disse: “Finalmente mi hai fatto una domanda, sicché ora ti sarà possibile imparar qualcosa! Lascia andare tutte le tue nozioni, e in ultimo, la rinuncia finale sarà lasciar andare l’idea stessa di rinuncia. Tu non stai lasciando andare niente, tutto è lasciato andare. Con l’idea di rinuncia tu stai trattenendo qualcosa preferendola ad altre cose. Di fatto, tu non stai rinunciando, stai trattenendo saldamente una cosa minore.

Suo padre gli disse che per lasciare andare ogni cosa, devi soltanto lasciar andare la sensazione di lasciar andare. Il tuo ego, che sta cercando di lasciar andare tutto il resto, è ancora con te. Una volta che lasci andare l’ego, non ci sarà più niente di tuo da lasciar andare.

Sembra richiedere tanto, tanto tempo! Alcune persone sono magari più egoiste di altre. Cosa è che rinuncia? Cosa è che lascia andare?

Ciò che non è mai assente in nessun luogo.

E parte di quella sostanza è in me?

Si. Una parte di quella sostanza è dentro di te e tu sei entro di essa. È come l’acqua del Gange e l’acqua del Gange in una bottiglia. Rompi la bottiglia e non c’è traccia di separazione di quell’acqua se mescolata nel Gange. Finché associamo il Se’ col corpo, coi sensi e la mente, col desiderio o la sensazione dell’‘Io’, con l’ego, siamo separati e imbottigliati. Lasciamo andare l’ego e non c’è separazione.

La creazione è fatta in modo tale che ogni cosa che esiste ha pieno diritto di farne parte, ogni cosa ha un fine e deve assolvere la sua funzione; perciò deve continuare il suo ciclo, deve essere usata. Usa ogni cosa, e abbandona l’idea che stai rinunciando. Non rimanere attaccato a nulla in questa creazione; questo può avvenire soltanto attraverso quella rinuncia finale di abbandono dell’idea di possedere qualsiasi cosa. In effetti, tu non possiedi nulla. Ogni cosa appartiene all’Assoluto, ogni cosa è permeata dall’Assoluto; usa qualsiasi cosa di cui hai bisogno, e il resto semplicemente appartiene a Lui. Questo è ciò che dobbiamo tenere a mente quando pensiamo alla rinuncia.

Per raggiungere la pace a livello sottile e causale è chiaramente necessario lasciar andare. Lo Shankaracharya ha detto: “Lasciar andare può essere fatto affettivamente e intellettualmente sempre e in ogni condizione. Esercitati a lasciar andare sempre, considerando il corpo, la mente, e il cuore come proprietà dell’Assoluto e quindi restituendoglieli in offerta.” Anche un poco di questo è stato visto essere più efficace di ogni altra cosa. Come possiamo costringere noi stessi a farne di più?

Questa osservazione è in linea con lo spirito del primo Upanishad, Isha. Dai primi due versi di quest’ultimo si ricava il nucleo centrale di ciò che può essere descritto come l’essenza della filosofia indiana. Il Bhagavad-Gita completo che conosciamo, è quasi una spiegazione dei due versi di questo Upanishad.

Ciò che viene reso in questi due versi è la stessa restituzione data nel Bhagavad-Gita. Qui Krishna dice: “Chiunque in me vede il mondo, e vede me nel mondo, lui solo mi conosce, e lui solo trascenderà, e sarà sollevato dal trambusto di questo universo. Lui sarà beato e avrà vita eterna.” L’essenza dei primi due versi del Isha Upanishad è che l’universo è riempito dall’Assoluto. Se uno prende qualsiasi cosa nel mondo e ne osserva la costruzione, raggiungerà in ultima analisi lo stato in cui trova l’Assoluto in ogni cosa.

Per esempio: prendi la stoffa. La stoffa è fatta di filo, il filo è fatto di cotone, e la bambagia del cotone viene dalla terra, e la terra è fatta d’acqua, l’acqua viene dal fuoco, il fuoco dall’aria, l’aria dallo spazio, e ciò proviene dalla natura manifesta, che a sua volta proviene dalla natura non-manifesta, che sta nell’Assoluto.

Quindi, se continui a guardare dentro qualsiasi cosa, alla fine giungerai all’Assoluto, ciò che prevale in ogni cosa. Questo è il processo attraverso il quale tutte le cose si manifestano. Infatti, l’Assoluto non è soltanto all’interno della materia; è ovunque. Non è soltanto la causa efficiente, ma anche la causa materiale. Entrambi sono l’Assoluto, quindi l’Assoluto è il dentro e il fuori e l’Assoluto è ogni cosa.

L’Isha Upanishad dice che l’universo è permeato dall’Assoluto. Qualunque cosa uno veda nella creazione, qualunque movimento – uno dovrebbe usarlo pienamente e godersi l’Assoluto in ogni dove, ma se lo dovrebbe godere con spirito di rinuncia. Non dovrebbe cercare di trattenerlo o occultarlo. Dovrebbe cercare di non possederlo; goderne – e lasciarlo andare. Per cui lasciar andare è la filosofia più semplice che promette la realizzazione completa della vita dell’individuo, ed egualmente liberazione dopo averne goduto. Questo è il significato del primo verso.

Il verso successivo dice che, se uno potesse vivere così, godendo dell’Assoluto e lasciando andare, uno avrebbe desiderio di vivere cento anni e, avendo vissuto in questo modo, nessuna delle azioni che l’individuo deve compiere durante questi cento anni lo legherebbe affatto. Non c’è alcun legame, di fatto egli è già liberato; vive nella liberazione, e quando il corpo ha finito, egli procede con la liberazione. Di fatto nulla lo legherà, quindi questa osservazione che hai fatto è la filosofia centrale. Se uno potesse metterla in atto tutto il giorno, tutto il tempo, uno esperirebbe la liberazione interna, e la reale liberazione dal corpo con la morte.

Sembra che il ‘servitore personale,’ la mente in movimento, può essere purificata, e fino a un certo punto controllata, ponendo l’attenzione alle azioni della propria piccola routine: come uno siede in meditazione, come si muove e cammina e parla nonché le azioni a cui acconsente. Anche un poco di questa pratica, insieme al mantenere l’Assoluto, che vede ogni cosa, nella memoria il più spesso possibile, dia i risultati più gratificanti che fanno desiderare l’unione completa più che ogni altra cosa. Direbbe Sua Santità che io posso raggiungere questa unità continuando per la via intrapresa o è richiesto qualcosa in più? In altre parole (come Kach il figlio di Prajapati verso la fine della storia), alla fine domanda: “Bè, se non posso rinunciare in questo modo, che altro posso fare? Sto anch’io trattenendo fortemente qualcosa invece di rinunciarvi?”

Lasciar andare è nient’altro che capire il vero significato di ‘lasciar andare’. Ordinariamente se lasciamo andare una determinata cosa immediatamente sviluppiamo un attaccamento per qualcos’altro.

Il lasciar andare di Kach era originariamente un lasciar andare di cose esterne, quindi non ha trovato pace anche quando le ha lasciate andare tutte. Ma quando ha capito il senso vero del lasciar andare, ha compreso che lasciando andare l’’Io-issimo’ (ego) del lasciar andare, il rilascio di tutte le cose collegate all’ego è avvenuto come conseguenza naturale. Questo è il vero lasciar andare.

Successivamente, la vita concreta di Kach è stata quella di un uomo ideale, ossia lo svolgimento di tutti i compiti e gli obblighi di una vita reale senza avere in mente alcun senso dell’‘Io’.

Inizialmente, quando un uomo che è ancora in formazione entra in servizio per la prima volta trova delle difficoltà, ma con la pratica in seguito è in grado di agire in modo naturale e appropriato man mano che la sua esperienza matura. Alla fine acquista purezza e maestria nella propria arte.

Continuando una pratica di questo tipo siamo in grado di scoprire i nostri poteri. Questo è il vantaggio di ‘lasciar andare’ nella vita concreta.


IL DESIDERIO DI KUNTI

Di recente sto vedendo sempre più che è prendere le cose sul personale che costituisce la barriera principale alla crescita personale. Cercare di aiutare gli altri è ora più importante in termini di tempo e interesse, ma molto di ciò è sprecato da questo approccio personalistico. Io sento che è la meditazione che mi ha portato a vedere questa cosa, e la voglia di essere libero cresce sempre di più ma come lasciare l’aspetto personale velocemente una volta individuato? Credo che il concetto de ‘La scimmia sull’albero’ e l’ascolto dei suggerimenti interiori dovrebbero rispondere alla mia domanda. Spero che lo Shankaracharya possa ampliare il concetto.

Sarei in errore se dicessi che l’approccio personale in questo lavoro renderebbe il lavoro stesso sprecato, in quanto nulla è mai sprecato. Quando uno prende qualsiasi cosa a livello personale, o lavora con un approccio personalistico, crea una limitazione basata sul mondo terreno e questo riduce le cose. Il servizio limitato di questo mondo limitato creerà soltanto un effetto limitato.

Se solo uno è sufficientemente fortunato da vedere la sua prospettiva personale come campo limitato allora incomincia a cercare un approccio più ampio, più generalizzato, cerca il mondo sottile, il mondo della conoscenza e della vasta potenzialità. Se uno potesse passare dal suo mondo personale al mondo generale, scoprirebbe che il campo del servire e della sfera dell’influenza diventa esteso.

Ogni essere umano somiglia molto all’Assoluto. L’esistenza di questa creazione è il desiderio dell’Assoluto di manifestarsi e godere. Lo stesso vale per tutti gli individui. Tutti nell’universo desiderano diventare manifesti ed essere felici. È verso di ciò soltanto che tutte le nostre azioni sono veramente orientate. Non c’è eccezione.

Nel Mahabharata troviamo una storia curiosa di tipo diverso, ma anche questa alla fine dimostra questa tesi:

La grande guerra era finita e il vittorioso Pandavas prese il comando dello stato. Alla loro madre Kunti fu chiesto da Shri Krishna di pregare per una benedizione. Ella pregò per la sofferenza. Shri Krishna osservò che forse questo suo fare era da attribuirsi a uno squilibrio emotivo, così le chiese nuovamente di ripensarci e di pregare per qualcosa di più ragionevole. Kunti rispose che lei era assolutamente ragionevole nel chiedere di soffrire perché non c’era gioia più grande che quella di essere in compagnia di Krishna. Ora, a causa della vittoria, tutta la ricchezza materiale e gli onori sarebbero stati a sua disposizione e lei probabilmente presto se ne sarebbe attaccata. Infatti, questi piaceri materiali non favoriscono la reale liberazione. Se a lei fosse dato di soffrire, si sarebbe ricordata di Krishna più spesso e sarebbe in grado di vederlo e seguire il suo consiglio che era sicura l’avrebbe condotta alla felicità più grande di tutte. Quindi di fatto lei pregava per la sofferenza soltanto per assicurarsi la massima felicità.

Pertanto uno può vedere che in definitiva tutti senza eccezione alcuna vogliono migliorare ed essere felici. Non molti riescono a vedere questo aspetto. Se uno semplicemente accetta guai e sofferenze, di fatto sta lavorando per una felicità più profonda, e se uno organizza le cose soltanto in funzione della felicità terrena, sta operando per una schiavitù maggiore e dolore. L’oscurità della notte porta il mattino glorioso e giorni tiepidi e luminosi diventano notti buie.

Sembrerebbe meglio iniziare dalla parte oscura e finire con la luce gloriosa! Se uno vede che l’approccio personalistico non gli porta abbastanza luce e felicità, dovrebbe cambiare a favore di una visione più generale. C’è un passo ulteriore da fare per avanzare verso la visione astratta o vera visione universale nella sua manifestazione e felicità.

 

 ALESKO E LA TARTARUGA

Povertà non significa necessariamente miseria, perché se in essa si sviluppa la devozione, l’immagine di Dio inizia a vivere nell’anima, proprio come l’immagine di un oggetto vive in uno specchio. E un uomo che possiede l’immagine dell’Altissimo nel cuore non può più esser chiamato povero. Ma un uomo povero che ospita desideri è certamente miserabile, mentre un uomo povero senza desiderio alcuno è felice.

In tempi antichi, viveva in Cina un uomo chiamato Alesko. Non teneva niente con sé tranne un pezzo di iuta da avvolgere intorno al suo corpo. Il re aveva bisogno di qualcuno senza ambizioni personali per gestire gli affari del suo regno. Quando sentì di Alesko, volle provarlo e mandò i suoi uomini a chiamarlo. Lo trovarono che giocava con le tartarughe in una pozza.

“Uomo fortunato,” dissero, “i tuoi giorni di povertà sono finiti. Sua Maestà, il Re, ti ha convocato per darti l’incarico di suo primo ministro.”

Alesko disse: “È vero che Sua Maestà tiene una tartaruga avvolta in un lenzuolo d’oro, e la venera ogni giorno?” “Si, è vero.” “Quella tartaruga è viva o morta?” “È morta ovviamente.” “A qualcuna delle tartarughe che vedete qui piacerebbe essere tenuta in quel modo mentre è in vita?” “No.” “Se persino un animale non rinuncerebbe al suo ambiente naturale per una gabbia d’oro, come pensate che possa farlo io? Quella tartaruga è morta come dite voi. Similmente, io posso rinunciare alla mia libertà soltanto da morto.”

Allo stesso modo in cui il Bhagavad-Gita prescrive di ‘lasciar andare’ spiega come lasciar andare. Ciò che dobbiamo lasciar andare è il desiderio di trarre beneficio dalle nostre azioni, non le azioni in se stesse. Se noi lasciassimo andare le azioni ma continuassimo a essere vittima dei desideri, staremmo solo fingendo di lasciar andare. Prima di intraprendere un’azione, un ordinario uomo terreno prova sempre a valutare quale beneficio trarrà come risultato di quell’azione. Ma un uomo realizzato la intraprende in quanto ne sente il dovere, senza il desiderio dei conseguenti benefici.

Prima di fare del bene agli altri, dovremmo cercare di migliorare noi stessi. Non possiamo salvare un uomo che sta annegando se noi stessi siamo incapaci di nuotare.

Attitudini corrette generano ricchezza reale. Uno che possiede questa ricchezza non è mai povero.


IL RE CHE DIEDE VIA IL SUO REGNO

Un re, diventato vecchio, decise di abdicare il trono e darsi a vita reclusa. Proclamò che avrebbe dato via il suo regno al primo uomo che sarebbe andato a trovarlo alle undici del mattino del settimo giorno. Molti furono attratti da questa offerta e si disposero con l’intenzione di presentarsi davanti al re all’ora prestabilita.

Ma il re aveva concepito un piano preciso per selezionare la persona più adatta. Sulla via per il suo palazzo, aveva costruito una bellissima piscina dai loti in fiore – così bella che le persone furono tentate di fermarvisi a fare il bagno. Poi la via portava a un mercato dove vi erano i migliori capi d’abbigliamento possibile, che chiunque poteva prendere liberamente. Il terzo stop era una grande sala da pranzo imbandita con cibi succulenti e bevande. Il quarto era una grande camera da letto contenente un letto e arredi voluttuosi. Nel quinto, era offerta della musica bellissima. Il sesto conteneva oro e gioielli. In tutti questi posti la gente si fermò e si servì, e perse tempo o si dimenticò della propria missione.

Ma un uomo, che era stato l’ultimo a iniziare, superò tutte le tentazioni, passò attraverso tutti i cancelli e incontrò il re all’ora prestabilita. A lui il re formalmente consegnò il suo trono e si ritirò nella foresta. Il primo atto del nuovo re fu di dichiarare in arresto quanti erano partiti per andare dal suo predecessore, con l’accusa che avevano preso cose che non appartenevano loro. Quindi la rinuncia gli portò il regno.

Vogliamo il piacere e invece otteniamo dolore. Questo perché ogni piacere contiene il seme del dolore. I semi di una pianta irta non mostrano nessuna spina. Le spine compaiono soltanto molto tempo dopo quando il seme è germinato ed è diventato albero.

Ripensando alla storia di quell’uomo che passò attraverso i cancelli per ottenere le chiavi del regno dal re stesso Io avevo capito che ‘quell’uomo’ era il Se individuale e il re era il Se Universale. È corretto?

I cancelli sono gli strati che coprono la natura manifesta, come i cinque elementi, terra acqua, ecc., e mente e intelligenza racchiudono lo strato più inaccessibile dell’anima, il Se individuale e il Se Universale. L’individuo di fatto siede in grembo all’universale. Il guaio è che l’individuo, a dispetto di questa stretta prossimità, mantiene una prospettiva esterna e si preoccupa di quei strati esterni di natura manifesta. Se l’individuo potesse volgere il suo sguardo verso l’interno tramite la meditazione, potrebbe vedere dove si trova, vale a dire proprio in grembo al Se’ Universale. Allora i cancelli cesserebbero di avere importanza e vi sarebbe uno stato di gioia ininterrotta a tutto tondo. In condizioni di vero amore tu dai sempre e non chiedi in cambio.

Attraverso il dare, lasci che le cose accadano. L’amore per l’Assoluto rende superfluo il desiderio di godere delle ricchezze del mondo, in quanto tutto ciò è già stato offerto all’amato, l’Assoluto. In questo modo avidità e attaccamento non emergerebbero.

Quelli che imparano a lasciar andare avidità e attaccamento rompono il loro legame e emancipano sé stessi, o si realizzano. I veri amanti non si addormentano mai mentre aspettano l’amato! Uno deve imparare bene questa lezione – che non chiede nulla in cambio del proprio amore e allora, soltanto, riceve tutto ciò che gli serve per una vita buona e felice.

Per cui, non è il vero amore, ma l’amore esigente che crea attaccamento.

L’amore è buono quando è libero dall’attaccamento?

Quando le persone amano qualcuno, dimenticano che amore vero significa non chiedere nulla all’amato.


L’ESIBIZIONE DEL RE

La felice certezza e la realizzazione che ‘Io non ho nulla di mio’ sembra aprire tutte le porte. Questo primo sentimento è sicuramente l’aspetto emotivo individuale, e deve non essere seguito dall’aspetto universale: ‘Tutto l’universo mi appartiene’? Ciò porta grande gioia.

C’era un re che organizzò una grande esibizione universale. Invitò mostre da tutto il mondo, e bancarelle di oggetti bellissimi furono disposte. La gente si riunì in loco per comprare qualunque cosa piacesse loro.

C’era un uomo particolare che si muoveva tra le bancarelle e le esaminava da vicino, eppure non comprava niente. Andò in giro, giorno dopo giorno Le persone si domandarono perché quest’uomo continuava a guardare le cose ma non comprava niente. Cercarono di persuaderlo, ma egli disse che avrebbe comprato soltanto quando qualcosa lo avrebbe realmente soddisfatto. Continuò a cercare, e quando rimasero soltanto due giorni alcuni gli ricordarono che gli rimaneva poco tempo; meglio che si sbrigasse a scegliere o avrebbe perso l’opportunità di comprare qualsiasi cosa. Disse che voleva aspettare e vedere cosa realmente fosse adatto a lui e lo soddisfacesse. Questo durò fino all’ultimo momento, quando le bancarelle stavano per esser chiuse per sempre, egli andò dal re che aveva organizzato tutto, e gli tenne la mano. Disse: “Questa mano ha organizzato una così bella esibizione, io la voglio comprare,” e chiese il prezzo.

Il re disse che gli era difficile immaginare che egli stesso fosse in vendita, o che la sua mano potesse essere venduta. C’erano altre cose da poter comprare, non il re. Ma l’uomo disse: “Sei tu colui che ha provocato una tal bellezza, quindi voglio te, non le cose.” Il re disse: “Se veramente vuoi me mi puoi avere solo per amore, non per soldi”. Così l’uomo accettò e si consegnò con gran devozione al re; questa dedizione conquistò il re, e quindi tutte le cose dell’esibizione che appartenevano al re appartenevano anche a lui; non aveva più motivo di comprare nulla perché tutto gli apparteneva.oteva usare qualsiasi cosa voleva ogni qualvolta era necessario usare una cosa particolare. Non dovette comprare, non dovette reclamare, non dovette prendere. È soltanto attraverso la resa all’Assoluto, attraverso l’amore, che uno ottiene tutto – questa è la via che dobbiamo percorrere.

Tutti vogliono sapere perché ciò deve verificarsi all’ultimo momento possibile, appena prima dell’orario di chiusura?

Anche se di solito si nota che le cose sono riconosciute all’ultimo momento questo non significa che non sono state lì da sempre. All’inizio tutti sapevano questo, e tutti erano devoti, ma nel corso della storia questa devozione è andata persa e ora devono cercarla. È proprio come gli oggetti ordinari nella casa di qualcuno. Le persone hanno le loro cose, ma a volte, in un modo o nell’altro queste si perdono, e devono cercarle finché non le trovano. Una volta che vengono riscoperte le persone iniziano ad apprezzarle, avendole ritrovate, anche se di fatto sono sempre state lì, e mai perse.Le cose non sono mai perse – niente è perso – è soltanto l’ignoranza o la dimenticanza che sembra farcele perdere. Non è sempre all’ultimo momento che le cose vengono ricordate, ma meglio tardi che mai.

Una volta che conquisti l’Assoluto con l’amore, solo allora ottieni tutto, ma le persone solitamente si fermano alle piccole cose e rinunciano a raggiungere l’amore.

Quando un bambino ha veramente fame, non si accontenta di null’altro che della propria madre, a prescindere da quanto attraenti possano essere i giochi. Quando piange perché vuole la sua mamma, lei deve correre a nutrirlo a prescindere da quanto sia occupata con altre cose. L’amore è diretto e non c’è spazio per richieste o ricompense.