Capitolo 16 Unità e Non-dualismo


IL COSTRUTTORE DI FRECCE E IL CORTEO NUZIALE

Meditare è essere, essere uno, uno senza un secondo. Ecco un esempio:

In tempi molto antichi, mentre Dattatreya camminava si avvicendò un corteo nuziale. Egli si fermò sull’uscio di una bottega dove si stavano fabbricando frecce. Il proprietario era occupato a lavorare e non si preoccupò di guardare il corteo. Quando fu passato, Dattatreya volle sapere perché quest’uomo non si fosse gustato il passaggio dell’allegro corteo. Gli chiese se avesse visto il corteo nuziale. Il bottegaio disse di no. Non aveva neanche udito rumore alcuno, essendo stato occupato a forgiare una punta di freccia. Nel modellare la punta egli diventò un tutt’uno con essa, e il mondo sensoriale smetteva di esistere in quei momenti.

Lo stesso accade in meditazione. In meditazione uno è soltanto uno. Uno diventa il Sé. Il metodo della meditazione è soltanto un processo attraverso il quale ciò è reso possibile. L’Assoluto medita e diventa la creazione; noi meditiamo e diventiamo l’Assoluto.


IL FIGLIO DI VYASA

Shri Sukadeva era il figlio di Shri Vyasa, famoso scrittore dell’antichità. Shri Sukadeva era un bambino prodigio che aveva già raggiunto la realizzazione del Sé. Così, appena poté, incominciò a correre via nella foresta per diventare un eremita.

Ma egli era figlio unico, nato quando Vyasa era ormai in età avanzata e aveva atteso un erede per tutta la vita. Vederlo dunque correr via fu per Vyasa un colpo tale che gli corse dietro piangendo. ‘Figlio mio! Figlio mio! Torna indietro!’

Ma Sukadeva seguitò senza voltarsi indietro. Un fiume accompagnava il suo percorso. Alcune donne stavano facendo il bagno nude. Videro Sukadeva passar loro vicino, ma non gli fecero caso continuando a godersi il loro bagno. In seguito anche Vyasa raggiunse il fiume in cerca di Sukadeva. Ma nel vederlo le donne si nascosero dietro gli alberi e si rivestirono velocemente.

Vyasa domandò loro perché non avessero fatto caso alla presenza del suo giovane figlio mentre erano senza vestiti e perché i vestiti diventarono necessari al cospetto di un uomo anziano come lui? Le donne risposero che il figlio di Vyasa vide soltanto il proprio Sé in loro. Pur essendo Vyasa anziano, quella parte di lui che reagiva alla differenza tra uomo e donna continuava a condizionare la sua visione.

Quindi, se vediamo differenze nelle cose terrene -‘questo è così, quello è colà’- invece di vedere tutto come parte del nostro stesso Sé, ci saranno cose che ci piacciono e cose che non ci piacciono. Il conflitto tra ciò che piace e ciò che non piace conduce all’infelicità.

 

L’UOMO RICCO E IL MAHATMA

Una persona che professa devozione usa la parola solo per esprimere le proprietà dell’Assoluto, e i suoi occhi solo per vederLo ovunque.

In questo modo sta professando devozione ovunque, che si trovi in mezzo a una foresta o a casa. Tu stai ascoltando la sua parola sull’Assoluto. Anche questo è culto. Ma nessuna azione di per sé è culto. Riempi ogni azione di spirito di devozione, e ogni azione diventa un atto di devozione. Cosicché coltivare ortaggi nell’orto, sedere in una bottega a vendere oggetti, ecc., e altre attività simili possono essere convertite in culto se sono eseguite con spirito di devozione verso l’Assoluto.

La devozione è potere del cuore. Lascia che questo potere singolare spinga tutte le tue azioni, allo stesso modo in cui una centrale elettrica spinge tutte le macchine di un’industria.

Quando rinunciamo al mondo in cerca di devozione, la rinuncia dovrebbe essere mentale e non meramente fisica. La rinuncia fisica, senza un’attitudine mentale corrispondente e con la mente che ancora nutre desideri, è ipocrisia. Non contribuisce alla felicità.

Nella mente di un cittadino impegnato, l’idea di culto e devozione può a volte perdersi tra le incombenze giornaliere. Il modo per invertire ciò è leggere sacre scritture come il Bhagavad-Gita o il Vangelo. Questa dovrebbe essere la routine giornaliera di chi vuole professare devozione.

Un uomo ricco era solito andare da un mahatma, ma gli parlava soltanto delle vicende della propria casa. Il mahatma gliene domandò la ragione ed egli rispose che le persone di casa sua lo amavano molto; quindi erano sempre nella sua mente. Il mahatma un giorno andò a casa dell’uomo e diede un ago per cucire alla moglie. Le disse: ‘Tuo marito sembra che stia pianificando di portarsi tutte le sue cose quando andrà all’altro mondo. Digli di portare pure questo ago se può, per il mio bene. Ne avrò bisogno per cucire i miei abiti stracciati’. Quando lei lo riferì al marito, egli comprese la verità sui beni terreni.

Perciò, dovresti tener da conto ciò che puoi portare con te, cioè la devozione, e non ciò che deve essere lasciato qui, e cioè i beni materiali. Trasferisci la tua fede e il tuo affetto sull’Assoluto. Questa è devozione. Sotto la sua influenza ogni cosa si trasforma. La povertà diventa ricchezza, il veleno diventa nettare. Il mondo avrà dolore e sofferenza soltanto fintanto che non ci sarà l’Assoluto.


L’UOMO CHE SI SPACCIAVA PER IL FIGLIO DEL PRINCIPE

Questo corpo è come una grande città, la residenza di molti. Contiene un mondo di creature al suo interno. Esse hanno tutte vita propria e desiderano vivere. Alcune sembrano innocue, altre utili. Sono mantenute in uno stato di equilibrio costante, e questo equilibrio mantiene il corpo sano. Ogni turbamento dell’equilibrio causa malattia; in seguito intervengono forze compensatrici naturali che tendono a rispristinarlo. Similmente, quando l’equilibrio della creazione è stravolto, le forze dell’Assoluto entrano in gioco per ripristinarlo.

La natura tende costantemente alla perfezione, senza mai raggiungerla. L’uomo è parte della natura. Un malato cerca di guarire; un debole, cerca di diventar forte; un povero, cerca di diventare ricco e così via. È così che in ogni situazione vi è insoddisfazione, e ci sono sforzi corrispondenti a invertirla e a migliorare le cose.

Ma più cerchiamo di migliorare, peggio sembrano andare le cose. Diciamo di aver fatto progressi, ma diciamo pure che i vecchi tempi erano tempi d’oro. Similmente, il presente che sembra così pieno di motivi d’insoddisfazione diventerà il tempo d’oro di domani. Gandhi considerava le tasse dei sui tempi eccessive e lanciò una protesta contro il fisco, ma oggi quella tassazione è considerata leggera al confronto di quella odierna.

La ragione di ciò è che l’aumento di mezzi materiali non contribuisce alla felicità, al contrario sottrae l’attitudine razionale che la promuove. Con una buona progettualità, meno mezzi saranno necessari a produrre felicità.

I nostri sforzi tuttavia, sono rivolti per lo più a esser belli fuori e meno a sentirci belli interiormente. Cercare di apparire belli esteriormente e rimanere brutti dentro è ingannevole. Tali tentativi possono solo risultare nocivi.

Una volta un giovane ben vestito venne da me e si presentò come il figlio del principe di Avagarh. Disse che era rimasto bloccato alla stazione ferroviaria perché aveva perso i bagagli, e voleva un prestito, che prometteva di restituire tramite vaglia telegrafico appena tornato a casa. Gli fu detto intanto di mettersi comodo e consumare il suo pasto all’ashram, di seguito avremmo considerato il da farsi. Per puro caso un dipendente di Avagarh State si trovava nell’ashram in quel momento. Gli chiesi se conosceva l’uomo, e questi negò la benché minima conoscenza. L’impostore sparì con un pretesto e non tornò più.

Il mondo, nell’insieme, è così. Le persone fanno vedere una bella facciata esteriore e nascondono secondi fini.

Cercare di far del bene al prossimo è la prima cosa da fare. Chi non serve il suo prossimo è lontano dal servire Dio. Dio ci dà un corpo umano dignitoso al momento della nascita. Però, finché arriviamo al momento della resa, lo abbiamo inquinato con ogni sorta di azioni impure compiute nell’arco della vita. A questo proposito il santo e poeta Kabir ha detto: ‘A ognuno è stato dato uno scialle (il corpo umano) per coprirsi, ma tutti lo hanno sporcato durante l’uso’.

Kabir pure lo ha usato, ma è stato così attento che lo ha restituito pulito e curato.



IL LEONE E LA PECORA

Vorrei chiedere come migliorare la qualità dell’attenzione attraverso una concentrazione migliore durante la meditazione, perché sento che questo sarebbe un modo di aumentare la mia capacità di amore per l’Assoluto.

Anche se gli individui si sentono entità separate, in realtà c’è solo un’identità e quella è l’Assoluto. Nella nostra anima, nel corpo interiore, e nel corpo sottile, abbiamo questo essere individuale, e a causa dell’ignoranza e di altri condizionamenti lo sentiamo come entità diversa dall’Assoluto, per questo ci sembra che voglia riunirsi con l’Assoluto. Questa unione tra individuo e universale sembrerebbe richiedere uno sforzo da parte dell’individuo stesso. L’individuo, se mai facesse qualcosa, si limita a rimuovere gli ostacoli che bloccano la propria visione di unità con l’Assoluto. Infatti, il movimento è soltanto da parte dell’Assoluto. È l’Assoluto che va incontro all’individuo.

Amore o devozione dovrebbero essere sviluppati attraverso la rimozione degli ostacoli e ciò, ovviamente, è possibile tramite la meditazione e l’attenzione che una persona porta nella propria vita. Questo, in un certo senso, rimuove le identità separate dell’individuo che è costituito da nome, forma, e dalla sua cosiddetta natura. A tutte queste cose si deve rinunciare per l’unione reale o per l’amore vero nei confronti dell’Assoluto. All’individuo è ovviamente richiesto una quantità d’impegno, di fatto però l’impegno a carico di quest’ultimo non è molto. L’impegno maggiore ce lo mette l’Assoluto. È come per una persona minuta o un bambino che hanno le gambe corte e possono fare soltanto piccoli passi, e un uomo grande e grosso che può camminare più velocemente e coprire una distanza maggiore. Lo stesso accade con l’individuo che è un piccolo essere, e all’Assoluto che non ha limiti. È così che l’unione tra individuo e Assoluto dovrebbe avvenire.

Tutti gli individui di per sé stessi sono l’Assoluto, e lo stesso vale per te. È soltanto questione di realizzare di essere l’Assoluto. Per realizzarlo ci si deve liberare degli ostacoli, e per illustrare questo ecco la storia del cucciolo di leone:

Una volta, nella foresta, una leonessa che aveva avuto diversi cuccioli andò in cerca di cibo, e mentre era via uno dei cuccioli si allontanò e giunse in mezzo a un gregge di pecore. Il cucciolo seguì le pecore, e il pastore, vedendo il cucciolo insieme alle pecore, lo tenne. Il cucciolo si comportava come le pecore per via della loro compagnia. Il pastore pensò che se esso fosse rimasto nella foresta, un giorno la leonessa avrebbe ruggito, e il cucciolo, udendo il ruggito, si sarebbe ricordato di essere un leone e avrebbe attaccato le pecore. Allora portò il gregge e il cucciolo in un’altra foresta dove credeva non vi fossero leoni.

Un giorno, un leone ruggì in quest’altra foresta, e tutte le pecore corsero via, e anche il cucciolo cercò di correr via. Il leone, nel linguaggio dei leoni, chiese al cucciolo di fermarsi, e disse, ‘ Perché hai paura di me? Non ce n’è bisogno – tu non sei una pecora – tu sei un leone, come me. Se non ne sei sicuro te lo posso far vedere.’ Così lo portò nei pressi di uno stagno e il piccolo leone si vide riflesso nell’acqua, aveva la stessa faccia e le stesse caratteristiche di quello che aveva ruggito. Quindi il leone lo intimò a ruggire con lui, e così imparò a ruggire, e l’intera personalità e individualità di questo piccolo leone cambiò completamente e incominciò a ruggire come un leone adulto.

Tutti gli sforzi al mondo sono volti a imparare il linguaggio del mondo, che equivale al linguaggio delle pecore e alla vita delle pecore. In buona compagnia – la compagnia dei santi, e attraverso i sermoni – impariamo a rinunciare al linguaggio del mondo e a intraprendere il linguaggio dello spirito. Una volta imparato, e una volta visto come le persone beate, vicine all’Assoluto conducono la propria vita, anche noi, come quel piccolo leone, possiamo iniziare a comportarci da veri leoni, perché siamo veri leoni in natura.

 

RAMTIRTHA CONDIVIDE IL SUO SALARIO  

La perfezione con la quale ci prepariamo all’unità con l’Assoluto, affinché ci sia un sentimento di fratellanza universale, dipende dalla relazione che stabiliamo con esso. In ogni cosa, e dappertutto vediamo l’Assoluto. Il sentimento che nutri per la tua famiglia cresce fino ad includere la comunità, poi la nazione, e alla fine tutto il mondo: da limitati, diventiamo illimitati e tutto il mondo diventa la nostra famiglia, e il sentimento che proviamo è ‘Tutto mi appartiene, e io appartengo a tutti.’

A fare da esempio, c’è la storia di Swami Ramtirtha. Egli era insegnante in un collegio e credeva nella fratellanza universale. Qualunque somma guadagnasse, cercava di usarla per aiutare tutti. Usava mettere i soldi sul tavolo cosicché chiunque ne avesse bisogno poteva prenderli.

Sua moglie disse: ‘Io ho diritto alla priorità, perché non metti i soldi nelle mie mani?’ Ma Swami Ramtirtha rispose: ‘Sono per tutti e tu sei una di tutti; se ne hai bisogno, anche tu puoi prenderne. Io vedo Dio in tutti sicché, come potrei trattenere dei beni? Non è che io cerco di aiutare gli altri, io vedo Dio continuamente!’

Così possiamo diffondere ciò che ci arriva in modo da estenderlo a tutto l’universo. L’Assoluto può rivelarsi in molte forme; la fratellanza universale siccome è universale non rende tutto uguale sempre, in qualsiasi caso. L’Assoluto prende diverse forme, e ad ogni forma dobbiamo adeguatamente adattare il nostro atteggiamento. Se l’Assoluto ci arriva in forma di bambino, allora lo dobbiamo accogliere con amore; se viene nella forma di un servitore, vediamo Dio nel servitore ma dovremo accettare il suo servizio; se viene da uomo sapiente avrà bisogno di rispetto e noi ci dobbiamo opportunamente adeguare. Se siamo al mondo, qualunque sia il nostro ruolo, adempiere a quel ruolo è servire l’Assoluto.



KRISHNA E SUDAMA

Può Sua Santità dire di più su Advaita, il non-dualismo?

La filosofia di Advaita include noi stessi e il cosmo. Ciò che chiamiamo Sé Universale e Sé individuale sono di fatto sostanzialmente uno; per principio sono uno ma in pratica sono due. In pratica, qualsiasi cosa abbiamo, arriva dal cosmo perché siamo costituiti da elementi. Questo è il principio base della filosofia non-dualistica Advaita.

 

Si, molto dipende da come si affronta. La ragione mi dice che non sono separato dal cosmo, ma l’esperienza sembrerebbe dimostrare il contrario. È questione di mettere insieme i due punti di vista?

 

È vero. Ci rendiamo conto con la ragione, ma in pratica dobbiamo agire come fossimo due, altrimenti sarebbe difficile gestire la vita. Ma qualsiasi cosa facciamo dovremmo ricordarci di essere uno. Queste sono le istruzioni.

La conoscenza è lì, ma mentre viviamo la quotidianità non ce lo ricordiamo, dimentichiamo chi siamo, così serve la pratica. Al momento quel sapere rimane solo sapere, ma possiamo introdurlo nella nostra quotidianità ricordandolo come dato di fatto.

Lord Krishna aveva un amico, Sudama. Era un’amicizia dai tempi dell’infanzia e una volta Sudama mangiò del cibo che sarebbe dovuto essere per entrambi. Furtivamente egli mangiò la parte di Lord Krishna insieme alla propria. Come risultato di ciò ci fu una gran povertà e Sudama fu deprivato dell’abbondanza terrena. Fu poi spronato da sua moglie ad affrontare il suo amico. Andò, ma era così afflitto dalla miseria e così debole che non ebbe nemmeno la forza di arrivare. Cadde semi-incosciente lungo la strada. Lord Krishna stesso si occupò di far arrivare a sè Sudama.

Quando Sudama giunse al cancello di Lord Krishna, i servitori non volevano lasciarlo entrare, perché Lord Krishna viveva come un re e Sudama era un pover’uomo vestito di stracci. A ogni passo veniva fermato. Quando finalmente riuscì a entrare e incontrò il suo amico Krishna, i due divennero uno. Erano felicissimi e Krishna venerò l’amico, onorò l’amico. Nel vedere che il loro signore onorava questo ospite, anche i servitori incominciarono a riverire la persona che poc’anzi avevano disprezzato.

Ora, questa parabola è la storia del Sé Universale e il Sé individuale. Siccome l’individuo è debole, non può arrivare all’universale attraverso i suoi soli sforzi. Egli dipende dall’aiuto dell’universale. La moglie rappresenta la saggezza in questa storia. La moglie sprona Sudama. La saggezza sprona l’individuo ad andare verso l’universale. E quando l’individuo torna agli affari terreni trova che tutto è stato appianato per lui. I servitori iniziarono a organizzare le cose per l’ospite quando seppero che questi era un vecchio amico del loro signore.