Capitolo 5: DISCERNIMENTO

Le due formiche

Come possiamo aiutare gli altri ad intensificare il desiderio di realizzare se stessi?

Ogni essere umano è in cerca della felicità. È naturale. Se la prova, ne vuole di più; anche questo è naturale. Chiunque abbia fatto qualche piccolo progresso nella meditazione deve averla provata. Due cose possono essere fatte per incoraggiare ad assaporarne di più e anche per attirare coloro che non l’hanno provata ancora.

In primo luogo l’esempio.  Quando la gente nota quanto sia produttiva la tua esistenza e vede quanto tu sia felice e in pace (con te stesso) saranno attratti. Vorranno sapere come ci sei riuscito e te lo chiederanno. Un altro modo è parlare della conoscenza che ti è stata rivelata e spiegarla.  Se fai cadere un granello di zucchero qui e la, le formiche ne seguiranno il percorso fino a raggiungere la fonte. Così, appena qualcuno gli da un’occhiata ne vorrà ancora. Così l’efficacia con cui darai il messaggio e e il tuo esempio personale sono come i granelli di zucchero che condurranno le persone alla Realizzazione di Se Stessi.

C’erano due montagne e c’erano due colonie di formiche che vivevano in ciascuna montagna. Una era una montagna di zucchero, l’altra di sale. Un giorno una formica della montagna di zucchero si recò in visita ad una formica della montagna di sale. Dopo aver provato il sale, non avendolo trovato di suo gusto chiese all’altra formica:” Perché non vieni a trovarmi? Vedrai che cibo delizioso abbiamo noi”. Così la formica della montagna salata si recò nell’altra montagna, ma, non essendo certa di trovare cibo a sufficienza portò con se del sale, per ogni evenienza, tenendo un granello di sale in bocca. Per questo motivo, quando finalmente assaggiò lo zucchero, avendo ancora in bocca del sale, disse:” non vedo questa grande differenza tra il mio e il tuo cibo”. Allora l’altra formica disse:” Probabilmente stai continuando a mantenere qualcosa (di vecchio) dentro di te, liberatene e sono sicura che non potrai fare a meno di convenire quanto sia buono il sapore dello zucchero”. E quando la formica della montagna di sale lo fece non tornò mai più indietro.

È lo stesso con gli uomini: anche quando ci viene offerto il dolce sapore della vera conoscenza non riusciamo ad assaporarlo veramente fin quando continuiamo a smaniare per le cose materiali e ad avere desideri mondani. Elimina il sale e assapora la pura dolcezza dello zucchero, e non desidererai nient’altro.

Se spargi granelli di zucchero per terra lungo la strada che conduce al deposito la formica seguirà le tracce fino ad arrivarci. Chi desidera pace e serenità raccoglierà i granelli di pace e serenità e seguirà la strada verso la piena consapevolezza e serenità.

Il servo che fingeva di essere un Sant’Uomo.

Sottolineando la necessità di una pratica costante in meditazione, Sua Santità diede come esempio l’imparare ad andare in bicicletta. A volte quando un giovane ha difficoltà ad andare in bicicletta un adulto lo sostiene in equilibrio. È possibile dare un aiuto analogo nella meditazione?

Qui si sovrappongono due livelli di realtà, uno più fisico e l’altro più sottile. Tutto l’aiuto pratico che si può dare è solo materiale. Per cui quando a qualcuno si insegna a meditare, gli si dice come ripetere il mantra, come fare a mantenere il corpo immobile, di tenere gli occhi chiusi, e queste sono tutte indicazioni materiali. E questo è tutto il sostegno che può essere dato riguardo al corpo nel senso fisico del termine.  Nell’abito del livello più sottile, indicazioni e suggerimenti possono certo essere condivisi ma queste indicazioni devono essere realizzate in prima persona da colui che medita. A parte ciò, nulla può essere fatto.

La Meditazione è come un viaggio di ritorno a casa. E molte delle ansie e degli affanni a cui andiamo incontro sono nella prima parte del viaggio; quando quel punto è passato e ti avvicini alla meta allora c’è solo una meta a cui tendere e null’altro di cui preoccuparsi. Meditare è tornare a casa, nella propria casa.  Tutto quello che un insegnante può fare è descrivere il viaggio dall’inizio alla fine, quello che accade di solito e cosa potrebbe succedere.

Nel reame della Mente l’insegnante può guidare il discepolo raccomandandogli di prestare attenzione al mantra, e se la mente si distrae in altri pensieri, l’insegnante può aiutare cognitivamente insegnando il concetto di discernimento con esempi pratici, così che il discepolo possa approfondire e discernere. Ma quando la meditazione comincia è il discepolo da solo che deve essere in grado di praticare e discernere tra ciò che emana dalla sfera causale e ciò che influenzato da qualcos’altro. Non deve fermarsi a chiedere, ma deve procedere diretto verso l’Assoluto. Tutto dipende dal discepolo e nessun altro può aiutarlo in questo livello.

Quando si pianifica un incontro segreto, la persona che lo organizza accompagna i partecipanti fino ad un certo punto oltre cui non si spinge e

lascia che le persone si incontrino nel punto stabilito.

Lo stesso accade fra moglie e marito; malgrado abbiano molti parenti, quando vogliono discutere qualcosa in privato non lo fanno in presenza di nessuno. È nella natura propria dell’Assoluto che quando si rivolge verso se stesso, per la Sua propria natura, non vuole alcuna interferenza o l’aiuto di nessuno, e, poiché non vuole l’aiuto di nessuno non c’è ne la possibilità ne la necessità di aiutarlo.

Nelle Scritture c’è scritto che nel cammino verso la liberazione anche la nostra capacità di discernere ha un limite. Oltre un certo punto l’Assoluto fa esperienza di se stesso.

Quando durante la meditazione si ha un assaggio di quella felicità interiore che non esiste nel mondo fisico, la si vuole provare di nuovo. Allo stesso modo si possono spargere dei granelli di zucchero in terra ma non si deve costruire una strada perché le formiche si spostino da un granello ad un altro. Quando ha assaggiato lo zucchero la formica troverà la strada che conduce ad un altro granello di zucchero.  Ed è lo stesso per ciascuno di noi. Dopo aver provato la felicità interiore non abbiamo più bisogno dell’aiuto di nessuno, perché siamo capaci di proseguire da soli.

Questa è la storia del re che chiese al suo ministro di portargli un Sant’Uomo che potesse insegnargli il segreto della ricchezza eterna. Poiché il ministro non era riuscito a trovarne uno, istruì un servo a fingersi un Sant'Uomo. Appena il re fu soddisfatto al servo venne ordinato di ritornare alle sue funzioni, ma lui, invece, preferì continuare a voler essere un Sant’Uomo per poter incontrare il più grandi fra tutti i re.

La morale della storia è che ciascuno può essere aiutato fino ad un certo punto, oltre al quale il proseguimento è esclusivamente realizzato dall’Assoluto, senza alcun aiuto, perché l’Assoluto è onnisciente e l’unica ragione per cui non ci ricordiamo della sua onnipotenza è che lo abbiamo lasciato a troppo a lungo nell’oscurità.

L’uomo che voleva incontrare Dio

L’Assoluto è la radice e la causa di tutto e di Se Stesso. Nel ciclo di causa ed effetto tutte le manifestazioni hanno il loro posto in relazione alla loro forma. Se si continuasse a seguire la concatenazione di causa ed effetto, alla fine si raggiungerebbe l’Assoluto, che è senza causa. Perciò la causa di ogni nome e di ogni forma risiede nella consapevolezza dell’Assoluto.

Allora, il discernimento è necessario tra queste forme e questi elementi e l’Assoluto: questo avviene durante la meditazione o nella vita di ogni giorno?

Noi viviamo naturalmente in un mondo di nomi e forme che ci circondano, e pure l’essere che chiamiamo “Noi Stessi” ha molti nomi e forme. La gente ha un nome e una forma ma anche un'essenza; perciò sembra che ogni cosa sia ovunque, ma per ignoranza (della verità) la gente si occupa solo del mondo dei nomi e delle forme. Abitualmente consideriamo il nostro corpo come se non esistesse nient’altro al di là di esso. Il sistema di conoscenza di Advaita e il metodo della meditazione servono a rimuovere le ristrettezze e i limiti della schiavitù, a permetterci di discernere e di vedere l’Assoluto, l’illimitato ed infinito, che non può essere contenuto in nomi e forme.

Ecco un esempio:

Un uomo si recò da un Sant’Uomo e gli chiese di aiutarlo a fare la conoscenza di Dio. Il Sant’Uomo gli rispose:” Quando sarò in presenza di Dio, Egli mi chiederà qualcosa di te. Allora dimmi qualcosa di te. L’uomo si pose una mano sul suo petto e disse il proprio nome. “Tutto quello a cui ti riferisci sono carne e ossa, soggetti a crescere e poi a perire. Come è possibile che tu sia solo questo? Tutto ciò è solo il tuo corpo e it tuo nome. Dammi una più veritiera descrizione di te”. L’uomo rifletté e poi rispose che probabilmente lui era meglio definito dalle proprie idee, desideri ed emozioni. E di nuovo il Sant’Uomo replicò che anche queste cose erano mutevoli, addirittura più volubili del corpo. E gli chiese di nuovo: “Dimmi chi sei veramente”. Così l’uomo fu costretto a riconoscere la propria vera natura e non chiese più di conoscere Dio.

Il sistema di conoscenza di Advaita e il metodo della meditazione ci insegnano a discernere tra il transitorio e l’eterno, tra il profondo e il superficiale, tra la materia e lo Spirito, così che ci sia concesso di dilettarci sia delle forme e delle parole che anche della vera essenza del tutto.

Dieci uomini che attraversano il fiume.

Nel mondo odierno ci sono una miriade di idee che circolano e tutti quanti noi sembriamo fissati a convincere gli altri della validità del nostro modo di pensare. C’è veramente bisogno di qualcuno che non sia così ossessionato dalla propria vanità nel desiderio di dimostrare una presunta superiorità.

Dieci uomini attraversarono un fiume impetuoso e, raggiunta la sponda opposta, vollero verificare di essere tutti arrivati sani e salvi. Decisero di contarsi, ma ognuno dimenticò di contare se stesso, cosicché temettero che uno tra loro non c’è la avesse fatta perché ognuno contava solo nove persone. Furono presi dal panico. In quel momento un Sant’Uomo passava da quelle parti e vedendoli preoccupati chiese loro cosa ci fosse che li agitava. Glielo spiegarono e glielo dimostrarono contandosi. Il Sant’Uomo chiese loro di porsi in fila e cominciò a contarli colpendo col bastone il primo della fila una volta, il secondo due e così via fino all’ultimo che colpì dieci volte dimostrando loro che erano, effettivamente, tutti salvi. Felicissimi i dieci uomini proseguirono il proprio viaggio.

La stessa situazione accade nel mondo, oggi. Quei dieci uomini rappresentano le idee che circolano, ognuna che contraddice le altre senza occuparsi di se’, in un battibecco senza fine. A meno che qualcuno arrivi e le scuota dalle fondamenta, questa diatriba non avrà soluzione.

Il consiglio del Sant’Uomo al serpente 

Quando consentiamo al nostro ego di interferire, alteriamo l’azione.

Nell’agire non possiamo prescindere dal coinvolgimento dell’ego, ma ci sono dei livelli differenti tipi di ego.

Per esempio, possiamo essere adirati. Ma ci sono due modi di essere arrabbiati. Con una ira incontrollata il nostro corpo brucia.  Ma se limitiamo la nostra collera a quel tanto necessario per agire dove c’è bisogno, e la nostra collera è solo superficiale e agiamo con amore nel cuore, allora usiamo solo la collera necessaria, utile ad agire, senza venirne posseduti.

In tal modo usiamo l’ego senza esserne sopraffatti, ma solo allo scopo di agire appropriatamente senza alterarci e ciò è corretto, ma se ci divora, allora non è giusto.

Alcuni Sant’Uomini stavano attraversando una foresta quando si imbatterono in un grosso serpente. Capirono che, a causa di cattive azioni, un uomo era stato trasformato in un serpente, quindi presero dell’acqua dalle proprie borracce, recitarono dei versi sacri, spruzzarono l’acqua sul serpente che fu trasformato nuovamente in una forma umana. L’uomo confesso’ ai Sant’Uomini che, nella vita precedente, aveva causato dei dispiaceri a diverse persone, ed era stato a causa dei suoi peccati che era stato trasformato in un serpente. Scongiurò i Sant’Uomini di dargli qualche consiglio per porre fine alla sua situazione dolorosa. I Sant’Uomini dissero che doveva smettere di creare problemi ad altri e, nella sua forma di serpente, non avrebbe dovuto più mordere nessuno. Se si fosse comportato in questo modo, col tempo, si sarebbe liberato dalla sua condizione. E ripresero il loro viaggio.

L’uomo, nuovamente nella sua forma di serpente, smise di mordere. Pian piano gli abitanti del villaggio vicino che erano soliti raccogliere frutta o legna da ardere nella foresta e che erano anche soliti lanciargli delle pietre si accorsero che la cosa non sembrava più disturbarlo, che non reagiva e furono in grado di avvicinarsi di più e si misero a colpirlo con delle pietre. Poiché non reagiva, cominciarono a colpirlo anche con dei bastoni, a tirargli la coda e a sbatacchiarlo. Malgrado tutte queste sventure, avendo promesso di non reagire, il serpente subì in silenzio.

Passati alcuni mesi i Sant’Uomini passarono di nuovo per la foresta e videro il serpente coperto di lividi e gli chiesero cosa fosse successo. Lui spiegò che aveva seguito alla lettera il loro consiglio di non creare problemi per nessuno e che, purtroppo, il suo stato era la conseguenza di quella decisione. I Sant’Uomini gli dissero allora che loro gli avevano proibito di fare del male, non di reagire con un sibilo: poteva sibilare ma non mordere. Poi proseguirono. Quando un po’ di tempo dopo gli abitanti del villaggio ricominciarono ad infastidire il serpente, questi cominciò a sibilare, E tutti scapparono lasciandolo in pace.

Il sibilo è un fenomeno naturale, malgrado sembri un atto cosciente, è la risposta naturale in certe situazioni; è stato concepito dall’Assoluto che il serpente possa sibilare per salvare la propria vita. E’ lo stesso nella nostra vita di ogni giorno, se c’è una situazione nella quale fosse necessario un sibilo per proteggerci, non dovremmo esitare ad usare questo metodo per risolvere una situazione senza alterarci e causare disturbo alla nostra vera natura.